AUTUNNO MILANESE

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La redazione del Teatro di Oklahoma è attualmente (purtroppo) saldamente radicata a Milano. Di conseguenza, partecipa attivamente degli orrori e della putrescenza che ricoprono la bella Capitale Morale. Nell’autunno appena passato, che ha accompagnato la preparazione di questo piccola rivista, sono, com’è naturale, successi tanti fatti piccoli e grandi, ed alcuni hanno catturato la nostra attenzione e sono finiti in questi quattro quadretti, che non hanno alcuna pretesa di esaustività – sarebbe bello se l’elenco delle cronache di una catastrofe si fermasse al quattro. Potrebbe essere l’inizio di una rubrica (Oklahoma – le stagioni in città?) così come uno sfogo estemporaneo di scarsa rilevanza. Ad ogni modo li lasciamo qui, sperando che possano essere di vostro interesse:

1Cannibale

La Repubblica, 11/11/2019 – Sala e Provenzano, polemica su Milano

“Botta e risposta tra il ministro per il Sud e la Coesione Territoriale, Giuseppe Provenzano, e il sindaco di Milano, Beppe Sala. Intorno a Milano “si è scavato un fossato” a causa del quale “la centralità” della città “la sua importanza, la sua modernità, la sua capacità di essere protagonista delle relazioni e delle interconnessioni internazionali non restituisce quasi niente all’Italia”. È la riflessione sul ruolo di Milano del ministro espressa nel corso di un dibattito con il governatore ligure, Giovanni Toti, e quello lombardo, Attilio Fontana, organizzato dall’Huffington Post, sul tema “il Meridione visto da Nord”. (…) Non si è fatta attendere la risposta del sindaco, Giuseppe Sala. Milano “restituisce nella misura in cui ci viene chiesto e nella misura in cui veniamo messi in condizione di farlo.” (…) Sala ha aggiunto: “Non credo che abbiamo nessun istinto egoistico, ad oggi è vero che Milano sta un po’ fagocitando tutta la crescita che il nostro Paese potrebbe meritare ma se mi chiedete da sindaco di Milano è giusto? Dico di no”, tuttavia “mettendosi nei panni delle imprese straniere, qui si sentono rassicurate perché sanno che il sistema funziona”.

E allora lo disse, il Sindaco. Pacato, per carità, senza polemica, con quell’aplomb così elegante che solo il combinarsi di soldi, cultura e potere può dare. L’occasione è un piccolo botta e risposta. Un Ministro per il Sud (difficile immaginare una qualifica più veterocoloniale, al sapore di Arekì e Karkadé) che agita la sua fiacca rimostranza, insomma Milano è locomotiva ma va troppo veloce, non riusciamo a stare al passo, non è giusto. Giochi interni di partito (Sindaco e Ministro sono entrambi democratici)? Ricerca di visibilità? Chi può dirlo. Ma a stretto giro di dichiarazione ecco la risposta, per gioia dei cronisti e lustro della capitale morale. 4300 (quattromilatrecento) multinazionali hanno scelto di avere la sede italiana proprio qui. E non è finita. Ascoltate Assolombarda: PIL che corre a velocità doppia. E ancora: capacità attrattiva di capitale umano. Arrivo di risorse. Start-up innovative, turismo e perché no? ricercatori. Fatti non foste a viver come bruti.

Macina, la nostra piccola grande metropoli. Gira a pieni motori, pompa sangue fresco di investimenti, sangue servile di talenti, sangue sempre abbondante di sfruttati (zero negativo, donatore universale), sangue scuro di divise e sangue un po’ torbido di movida, cocktail otto euro & cocaina. Fabbriche non ce ne sono più, è cosa d’altri tempi, nella cinta urbana quantomeno. Sporche, brutte e un po’ sgraziate, le hanno messe tutte nell’hinterland, quei paesini che finiscono con –ago o –ate, ed meglio così. Lì quando si stride, si piange o si urla nessuno ti sente, imballano i libri le mutande i vestiti, e poi ti arrivano a casa, funziona. In città ad esempio invece abbiamo una vecchia lattoneria sui Navigli che hanno riconvertito, un posto delizioso. Fanno co-working appendono le biciclette al soffitto e serigrafano vecchie coperte, ci sono stato l’altro giorno e guarda, ci dobbiamo tornare insieme.

Oh, sì, mormora il Sindaco – e un sorriso buono gli increspa le labbra – Milano un po’ fagocita. Del resto, che vuoi farci, sta nella sua natura. Le buone pratiche, quando si mettono in moto, è difficile fermarle. Milano ti accoglie alle sue porte, apre la bocca e comincia l’avventura. Masticato sulla tangenziale, sputato tra i tornelli di Cadorna sotto lo sguardo severo degli addetti alla sicurezza ATM. Digerito incrociando offerte d’affitto e agenzie immobiliari, ricoperto di succhi gastrici dai master o dall’Università Statale. Raffinato nello scivolare miserabile sulle vetrine di Via Torino o rosolato nel jazz di una libreria enoteca. Trasformato in proteina da uno stage o cacato fuori nel buio di un palazzo ex-Erp di Corvetto o Calvairate. Alla buona digestione necessita anche un apparato escretorio, le case cadenti e periferiche sono un intestino cieco dove spurgare quello che non serve.

Carne di plastica per l’impresa giovane e coraggiosa, carne fetida buona alla manovalanza, carne d’inchiostro per la cancelleria del Tribunale. Non abbiamo alcun istinto egoistico, sussurra il Sindaco, gli occhi pieni di lacrime. C’è un grande cuore che batte, Assolombarda ausculta il ritmo. Cinquemila ombrelli in piazza contro il fascismo, il CIE che sonnecchia in fondo a Viale Argonne. Milano non odia più, Milano ama, lasciate che la Polizia possa sparare. Crescita doppia significa benessere. Correte a prendere le briciole che ricoprono la Darsena! E del resto il Ministro si affretta a precisare che no, non c’è nessuna polemica, anzi. Milano è un faro e un punto di riferimento. Non vi odiamo, al contrario vi invidiamo. Insegnateci ad essere come voi. Per favore, mangiateci tutti.

2 – Tum tum tum aprite polizia

Corriere Della Sera, 31/10/2019 – Il Comitato Barona assegnava alloggi abusivi in cambio della battaglia agli sgomberi

“Eccoli qui, gli aspiranti rivoluzionari, i paladini (rigorosamente a parole) degli oppressi e dei loro diritti. (…) Fanno parte del Caab, il comitato autonomo abitanti Barona, sigla dell’area no-global milanese che conta un ventina di elementi e che quand’è nata, al mondo s’è annunciata per appunto quale polo di mutua solidarietà per chi non ha una casa. Invece, come dimostra l’indagine della Digos guidata da Claudio Ciccimarra, sotto il coordinamento dei magistrati Alberto Nobili e Leonardo Lesti, i cinque occupavano appartamenti popolari (…) ordinando agli inquilini di partecipare tassativamente alla «resistenza» contro gli sgomberi e dunque contro gli «odiati sbirri», di sfilare nei cortei inneggianti all’uguaglianza dei popoli, di volantinare la propaganda del comitato, di non mancare mai alle riunioni nella sede del suddetto gruppo di antagonisti, al 12/7 di viale Faenza, e ancora di dare un forte contributo sui social network e d’esser sempre presenti e puntuali sulle chat di Whatsapp (…) Adesso dovranno star lontano non solo dalla zona, il quartiere Barona, ma da Milano tutta, in relazione alla condanna subita, una condanna che anziché la galera prevede, unitamente all’obbligo di presentarsi quotidianamente in un ufficio di polizia giudiziaria, il divieto di dimora qui in città.

E’ storia vecchia, e ormai pressoché quotidiana. Ma te la ripeto. Quando il giorno appena comincia e gli ingranaggi della città ripartono, tu sei già sveglio da ore. Sali in fretta le scale malmesse delle case popolari. Supera un portone rotto, attraversa un cortile dissestato, a passo di corsa, fiero del ruolo che ricopri. TUM TUM TUM. Dentro lo sanno già chi bussa, questi delinquenti, è inutile che prendono tempo. APRITE POLIZIA. Se non aprono minaccia, se non aprono sfonda, se non aprono picchia. Da qui in poi, da quando il pugno di ferro in guanto di velluto irrompe per sanare l’illegalità diffusa, diventa un’operazione meccanica ma che va fatta con passione. E poi si traduce facilmente, un po’ con l’algebra e un po’ con la grammatica. Non ci credi? E invece sì. Guarda, è quasi una magia.

• Le cose di una vita, gli oggetti i mobili i giocattoli gli armadi. La lavatrice? Anche la lavatrice. Il materasso? Anche il materasso. L’elenco potrebbe essere infinito. Prendi, metti nelle scatole, requisisci, trasporta in un magazzino a Rho oppure a Vittuone. Grammatica: operazione di escomio dell’appartamento illegalmente occupato.

• Spacca il cesso, togli il lavandino. Lamiere alle finestre, lamiere alle porte. Distruggi. Rendi inabitabile, impedisci che ci si possa stare. Lascia che quelle stanze vuote riposino felici nell’archivio ALER, aspettando serene l’assalto alla diligenza della privatizzazione o il colpo di spugna dell’abbattimento. Svuota senza ritegno, fa’ che nessuno ci torni mai più. Grammatica: messa in sicurezza dell’alloggio illegalmente occupato.

• Fa’ un po’ la voce grossa, intimidisci. Signora, le possiamo togliere i bambini. Ehi, giovane, mi fai vedere il permesso di soggiorno? Poi redigi su un foglietto, con scrittura minuta, il verbale. Grammatica: invasione di terreni ed edifici, ex art.633 c.p. Algebra: fino a 1 (uno) anno di reclusione.

• Qualche volta si ribellano, i delinquenti. Se urlano che non sanno dove andare, se dicono che aspettano una casa da anni, se gridano che hanno perso il lavoro, se persino mettono di mezzo i figli perché sostengono di avere una famiglia, usa prima la penna, per aggiungere parole sul verbale. Se non basta chiama i colleghi, se serve avete il manganello. Grammatica: resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p., fatto aggravato se commesso in più di dieci persone o prospettando l’uso della violenza ecc. ecc. Algebra: Da 3 (tre) a 10 (dieci) anni di reclusione.

• Può darsi che siano in tanti. Può darsi che si siano organizzati. Può essere persino – capita, è incredibile ma capita – che si facciano vedere spesso in giro. Che provino a farsi notare, a chiamare altra gente. Che non si accontentino di infilarsi negli anfratti che non gli competono ma addirittura lo facciano così, alla luce del sole, spavaldamente. Che dicano che le case sono vuote, che sono lì da tanto e nessuno le assegna, che gli affitti sono esorbitanti, che che che. In questo caso la trafila è sempre quella, verbale colleghi manganello ecc., ma la grammatica e l’algebra vengono in soccorso. Guarda. Grammatica: associazione a delinquere finalizzata all’occupazione abusiva e alla resistenza a p.u., ex art.416 c.p. Algebra: Da tre a sette anni per gli organizzatori, da uno a quattro per i partecipanti.

Capisci? Un po’ algebra e un po’ grammatica, e un pizzico di fantasia. A sud, a sud-ovest, a nord, ovunque vai in quei margini un po’ malsani che purtroppo dobbiamo coltivare, per essere quello che siamo. Ti staremo vicino, ti supporteremo. Diremo che è necessario, che è doveroso, che è quello che ci vuole per la serenità di tutti. La gente perbene ti è vicina. Il Signor Questore ti vuole bene. Il Palazzinaro ti sorride. Io, Milano, ti accarezzo e ti benedico.

3 – Un giorno lungo il quale strisciare

“Un odio come quello che Kraus ha gettato sui giornalisti non può essere fondato soltanto su quello che essi fanno – per quanto deplorevole possa essere; questo odio deve radicarsi nel loro essere (…) Infine egli ha concentrato tutte le sue energie nella lotta contro la frase fatta, che è l’espressione linguistica dell’arbitrio con cui, nel giornalismo, l’attualità si arroga il dominio sulle cose. (…) E’ però vero che la soluzione presuppone la scoperta di un altro laccio: quello per cui il giornalismo è interamente espressione della mutata funzione del linguaggio nel mondo del capitalismo avanzato.” Walter Benjamin, Karl Kraus

Me lo diceva sempre, la mamma, fai un mestiere sicuro. Un lavoro tranquillo, una roba d’ufficio, che poi porti il pane a casa. Ma io no, a me piace il brivido. L’avventura, l’azione, insomma le cose forti. Del resto, che cos’è la vita senza un pizzico di follia?

E allora di nuovo, facciamo il nostro compito ingrato. Del resto bisogna darlo un contributo, a questo tappeto volante e lustro di brillantini, che ci porta tutti verso un futuro radioso. E allora mi sveglio, esco dal letto, mi vesto e striscio. Striscio perché, sapete, io non ho mica lo scheletro. Scivolo rasente ai muri, respiro male e lascio dietro di me una bava bianca, un po’ filamentosa, anche maleodorante a dire il vero. Non è tanto bella a vedersi ma pazienza, ci ho fatto l’abitudine e dopo un po’ ci si è adeguata anche la gente che lavora con me.

Striscia striscia, eccomi in via Solferino. Bel palazzo, niente da dire. Grande e lungo e tutto bianco, con la scritta Corriere della Sera grande grande, che si vede bene anche da lontano. Che emozione, la prima volta che ci sono entrato. Ma bando ai ricordi, il tempo è denaro. Entro in redazione e lo so già come va, mi accoglie il caporedattore e mi urla Andrea che cazzo ci fai qui, mi sporchi tutto il pavimento, merda, vedi un po’ di andare a sentire se c’è qualcosa da scrivere te l’avrò detto mille volte, non venire se non hai qualche storia di sangue o merda oppure una velina da trascrivere e in fondo ha ragione, lo so qual è il mio ruolo ma non ci posso fare niente, sentirmi a casa in un grande giornale è così bello che vale anche prendersi qualche urlaccio, non pensate anche voi?

Allora striscio fuori. Largo Quinto Alpini o Via Fatebenefratelli? Mica facile decidere. Fatebene è più vicino ma anche dai Carabinieri non è male, insomma devo andare a trovare tutti, non fare preferenze. Va beh, oggi andiamo dalla polizia, gli altri mica si offenderanno.

Che poi mi trattano tutti bene. Quando entro in questura o in caserma mi accarezzano, giocano con me, a volte mi dicono Guarda il comunicato stampa, guardalo, ecco è qui e poi lo lanciano lontano e mi incitano e dicono Andrea corri! Corri! Riportacelo! e io striscio veloce, più veloce che posso, lo prendo in bocca e glielo riporto e loro ridono, io gli faccio le feste, si sta bene là, ci vado volentieri. Anche loro mi stimano, cosa credete, un buon cronista di nera è importante per tutti e poi ve l’ho detto, a me piace l’avventura.

Allora, cos’abbiamo oggi. Arresti nelle case popolari. Uhh, questo è succulento. Ci sono le occupazioni? Bene bene. Ladre rom si fingono incinta per evitare il carcere, ancora meglio, ci vado a nozze, qui ci divertiamo. Le periferie sommerse dai rifiuti, l’orrore della droga. Il cuore accelera, ogni volta è come la prima volta. Crimini, sangue, delitti, spazzatura, manette…ed ecco che mi capita. Un’energia mi pervade, le parole mi escono automatiche, le batto dimenandomi sulla tastiera (no, non ho nemmeno le braccia): L’importante lavoro di prevenzione delle forze dell’ordine. I rifiuti soffocano gli abitanti. Gli abusivi spadroneggiano. Il balordo. Eccoli i rivoluzionari figli di papà. Borseggiatori in metropolitana. L’importante lavoro di prevenzione delle forze dell’ordine. I balordi. Il sangue. Le periferie dove vive il Male. Occupanti violenti. Manifestanti violenti. Immigrati violenti. L’importante lavoro di prevenzione delle forze dell’ordine. Gli arresti brillantemente eseguiti. I rifiuti soffocano i quartieri. Gli abusivi soffocano i quartieri. Gli abusivi sono rifiuti. I ladri rom borseggiano. Non so perché. Ma quando comincio a scrivere. Non riesco più a fare le subordinate. Anche se volessi. Non posso. Bisogna parlare in questo modo. La cronaca nera funziona così. La città ne ha bisogno. Ricominciamo. Un motorino bruciato. Il rapido intervento dei ragazzi delle volanti. Il fiume della droga. Il balordo manifestante. Il rifiuto violento. L’importante lavoro di prevenzione delle forze dell’ordine. Il Male delle periferie. Il quartiere di immigrati. I ladri figli di papà. I rom figli dei ladri. Le occupazioni violente.

Quando ho finito, torno in redazione. Imbrunisce su Moscova, sento i rumori del centro, è tutto così bello. Torno col mio foglietto imbrattato di sangue e merda con il timbro approvato dalla Questura di Milano ed entro in ufficio. Il caporedattore mi urla Andrea cazzo è tardi, e poi basta con questa bava, puzza da fare schifo, lascia qui il tuo articolo e vattene e io annuisco e sorrido, striscio piano piano per via Solferino nella notte fredda e penso che certo, è un mestiere difficile quello del cronista. Ma a me piace così tanto. A me. Piace. L’avventura.

4 – Ragion di stadio

Dal sito www.nuovostadiomilano.com – Milan e Inter, rivali in campo ma insieme per il calcio e per Milano

“Il nuovo stadio è concepito all’interno di un distretto moderno e attivo per 365 giorni all’anno e di un progetto di riqualificazione dell’intera area. (…) San Siro diventerà un distretto dedicato a sport, intrattenimento e shopping, attivo non solo nei “match-day”, che porterà a compimento la vocazione sportiva di questa zona della città. (…) Il nuovo Stadio per Milano sarà una struttura modernissima, in linea con i più elevati standard internazionali, con oltre 60.000 posti configurabili diversamente secondo chi gioca. (…) Un’esperienza unica per qualità della visione del campo, comfort delle sedute, varietà e livello dei servizi, dalla ristorazione al museo.”

San Siro vecchio e stanco, San Siro che vibra e preoccupa, San Siro che non è all’avanguardia. San Siro che rende poco, San Siro che quando avremo uno stadio di proprietà, uno stadio all’altezza, ne beneficeranno tutti. Più velocemente del cuore di un mortale la città si muta. Quartieri sradicati, boschi distrutti e grattacieli fioriti: prima o poi, sarebbe toccato anche a lui.

Un imprenditore cinese e un fondo d’investimenti americano, gente che di certe cose ne capisce. Che garanzie volete di più? Lo stadio nuovo è un’opportunità: Ci metteremo un centro commerciale, un ristorante e più telecamere. Ci metteremo dentro gente tranquilla che non fa casino, entrarci avrà un prezzo più alto e così faremo girare più soldi. Sarà un fiore all’occhiello, un gioiellino per il quale stanno lavorando i migliori architetti d’Europa. Forse non riuscirete mai a venirci, oppure lo farete una volta all’anno come gita premio per tutta la famiglia. E se le mura vi sembreranno troppo alte, se al ristorante non ci potrete mettere piede, se dovrete restare seduti per forza durante la partita proprio come a casa davanti al televisore, potrete comunque guardarlo e pensare Quello è il nostro stadio. Lo stadio della grande squadra di una grande città.

Qualche indizio ve l’avevamo dato. Come si chiama la fermata della metropolitana adesso? San Siro Stadio DAZN. Prima, durante e dopo i tornelli vi accolgono fior di cartelloni pubblicitari, il nome ripetuto fino allo sfinimento, DAZN DAZN DAZN DAZN. Bel controsenso, il canale televisivo a pagamento che si fa pubblicità allo stadio, avreste dovuto pensarci, ve lo stavamo suggerendo quando arrivate e quando tornate: l’esperienza comune, vera, adesso passa in tv. Lo stadio è un lusso. Cominciate a dimenticarvelo. Cominciate a guardarlo da lontano: dobbiamo costruire una cosa bella, elegante, piena di brave persone e che venga bene nelle riprese.

Bando ai sentimentalismi, l’errore è vostro. Neanche San Siro era stato costruito per voi. Voi l’avete impregnato, anno dopo anno, di un pezzetto del vostre vite, del tempo misurato in partite o stagioni, delle urla. Ci avete costruito intorno le vostre piccole ritualità, un fuoco di amicizie, un po’ di passione bizzarra e quasi sacrale. E andava bene così. La grande macchina che mette a valore lasciava fare, potevate pure innamorarvene perché rendeva, estraeva abbastanza dal flusso di luci suoni e colori e quindi, finché macinava, non c’era problema se quel posto – che non era vostro, non lo è stato mai – magari in qualche modo per voi era casa. Adesso le cose sono cambiate. Cambiano sempre, bisogna stare in movimento, senza movimento la metropoli muore. Non fate quella faccia, non diteci che è la prima volta. Un pezzetto di città che abitate, gli date denaro, ne ricevete vita, ci costruite sopra chissà quale fragile capannuccia di affetti o sentimenti. Poi il banco cambia le regole, bisogna far rendere di più e meglio. E voi vi ritrovate fuori, è così che succede.

Lanciategli un ultimo sguardo poetico, a S.Siro, fateci pure la vostra elegia di ricordi se volete, tanto – finché resta esperienza privata, piccola epica domestica, beninteso – è tutto folklore, roba simpatica e che non fa danni. Ma abituatevi all’idea e abbandonate la vecchia carcassa. Noi vogliamo di più. Milano vuole di più.