CRONACHE SUL FORO
Un giovane e rampante avvocato scorge il proprio riflesso nei vetri della metropolitana, rimugina sull’oggettività e imparzialità del diritto penale, considera sotto un’altra luce la splendida civiltà giuridica di cui è piccola e operosa appendice – e si spaventa un po’. Brevi cronache (forse in divenire) della cattiva coscienza della Legge, direttamente dal ventre oscuro del moloch che ha nome Palazzo di Giustizia.
«Oh… ma hai visto sta storia del tizio che ha sparato?!»
«Minchia zi’, incredibile…ceh…cosa avrebbe dovuto fare?!»
«Ahh secondo la tipa lasciarli belli tranquilli in casa fargli pure il caffè»
«Ma infatti!! se la son cercata quelli lì. Uno ti viene a rubare in casa, devi vedere cosa gli avrei fatto io. Lui che colpa ha?»
Il Diritto esiste.
O meglio, mi sembra davvero che esista; d’altronde ogni giorno ho a che fare con diritti, quando mi sveglio alle 7, mi doccio, mi stiro la camicia e vado lì… proprio lì dove tutti pensano che il diritto stia! Al Palazzo.
Che poi non ti serve andare al Palazzo per vedere il Diritto, questo è banale. È limpidamente tramandato addirittura da millenni:
Ubi societas, ibi ius. In realtà al sommo sapiente autore del brocardo, a questo milite ignoto della dottrina giuridica vorrei chiedere se chiamerebbe ancora societas l’ammasso di persone che qua davanti sembra non comprendere il concetto di lasciar scendere prima di salire sulla metro.
Vabbé, il diritto esiste e sta ovunque, nelle cose e nelle persone, ma forse addirittura prima delle cose e delle persone; o forse dopo, o sopra e pure sotto, ma in ogni caso Lui sta. Un motore immobile, non si muove o semmai lo fa con estrema lentezza.
Che poi mi chiedo come possa continuare a esistere una cosa così lenta, che pretende di rimanere così ferma, mentre io, che sono ancora giovane, mi sento un po’ stanco con ‘sti ritmi frenetici della vita lavorativa. Vabbé.
Vacillo ma non demordo, il diritto DEVE esistere. Anche perché se non esistesse, mi immagino che gran casino succederebbe: furti, violenze, incendi, omicidi. Un inferno totale.
Prendo il telefono dalla tasca, lo faccio ruotare in mano come il pistolero della Torre Nera che ho visto ieri sera su Netflix; ne approfitto e ottimizzo il tempo aggiornandomi su riflessioni e percorsi del più fine dibattito dottrinale sul diritto penale.
Accedo dunque a Diritto Penale Contemporaneo (DPC per gli habitué), un’eccelsa rivista online di approfondimento giuridico degli svariati meandri del Diritto Penale.
Ecco. L’ultima pubblicazione: un editoriale di Santamaria, noto avvocato esperto di diritto ambientale, difensore di colletti bianchi e di grandi multinazionali del settore petrolchimico, un vero principe del foro, nonché ideatore-creatore-finanziatore dello stesso DPC. Una celebrità.
Il titolo dell’ultimo scritto è Anime belle, anime morte. Requiem for DPC?
Fermi tutti

Requiem?
Fine della più letta rivista di approfondimento giuridico in campo penale??
Cosa sta succedendo?! Sarà una questione di mancanza di tempo, di energie carenti o forse screzi nella redazione; continuo a leggere. Ebbene no.
La speranza che il diritto potesse essere neutrale si è fatta illusione|| È in crisi il modello illuministico-liberale della spoliticizzazione, cioè dell’oggettività e imparzialità del diritto penale|| Continuiamo a preferire un’apparenza tranquillizzante ad una realtà problematica || Antichi problemi che parevano risolti tornano vivi|| aula del processo, un palcoscenico in cui tutti gli attori recitano la loro parte in una tragedia che eternamente va in scena || Presto l’idea che nessuno può essere colpevole nemmeno se lo vuole apparirà come un’ovvia constatazione della visione scientifica e filosofica del mondo| Chi crede che la sicurezza sociale, che il diritto penale sarebbe votato a garantire, sia un concetto oggettivo, avalutativo e neutro, è ormai solo un ingenuo o peggio|Il finto ingenuo forse non vuol nemmeno vedere che i danni alla sicurezza sociale possono dirsi prodotti dalle condotte delle classi sociali dominanti
Il grande avvocato dei poteri forti deve essere impazzito.
Me lo sono sempre immaginato marmoreo e pacato, a partire dall’icona di lui offerta sulla stessa rivista online. Un nome e un’immagine in bianco e nero che hanno sempre emanato un’aura rassicurante da giurista capace di sciorinare sobriamente limpide e articolate nozioni tecniche della nostra materia.
Come può quella stessa persona dire invece che è tutto un imbroglio, che il diritto nient’altro è se non la malcelata prepotenza del forte sul debole!
Alzo lo sguardo dal telefono e mi intravedo nel flebile riflesso restituitomi dalla porta di vetro opaco scuro del vagone della metro. Questa figura in giacca a cravatta che risponderebbe in teoria al mio nome e titolo è forse solo un altro mediocre Eichmann di un nuovo (o a questo punto antichissimo?) lager, il Palazzo di Giustizia?
Il diritto che definivo vivente fino a pochi minuti fa oggi viene ribattezzato dal padrone di DPC di fatto come morente. Com’è possibile?!
Sono forse anch’io dunque un’estensione organica di un moloch di violenza e inganno, di una grande truffa? Ciò che definivo “civiltà giuridica” fino a pochi secondi fa è allora solo un coacervo di discorsi per rassicurarci da quelle iniquità che ci ripetiamo ogni giorno debbano essere rimosse proprio dal diritto? E ci diciamo questo in realtà subdolamente in cattiva coscienza giusto per riuscire ad addormentarci la notte illudendoci di essere persone per bene?!
Cammino confuso senza accorgermi che sono già arrivato: eccolo lì, il Palazzo. Marmoreo, sobrio e imponente sembra oggi aspettarmi con un’insolita apparenza malaticcia. Che poi si sa, dicono sia il grigiore della mattina milanese.
Cazzo è tardi! Tiro fuori il tesserino verde acido, lo mostro alla Guardia che annuisce con fare di intesa. È sospetto. Comunque basta con queste storie ora, non ho tempo. Devo concentrarmi ché tra pochissimo tocca a me. affretto il passo, in mezzo ai muri stinti e giallini dei corridoi. Ecco l’aula.
C’è il Giudice. Ci sono gli eminenti colleghi. Si stanno già scambiando i soliti convenevoli. Sembra di stare a Versailles. Anzi sembra di essere su un palcoscenico. Un palcoscenico senza pubblico… pagante, o forse con pubblico, ma senza appuntamento; anche se c’è un pubblico, evidentemente sono comunque tutti all’oscuro di ciò.
Basta con ‘sti pensieri! mi distraggono dal da farsi e se non sono sul pezzo, farò una figura di merda. Mi metto la toga e anche se mi sembra di essere ora avvolto in un mantello mi avvicino all’agente della penitenziaria; gli chiedo se il mio assistito è arrivato. Me lo indica guardandomi storto. Forse oggi addirittura più storto del solito…comunque non capisco perché mi guarda così che certamente non gli ho mai dato fastidi. Vabbé.
Mi avvicino al mio assistito, mi sembra un uomo di mezza età, forse è slavo o comunque dell’est. È il momento del primo colloquio, devo essere sul pezzo, performante, rassicurante. Basta dubbi e menate, ora si fa sul serio, si lavora.
Stretta di mano ferma, sorriso appena accennato e ottengo rapidamente le prime informazioni fondamentali, sul fatto, sulla condizione personale e familiare. Mi sento rinsavito, rassicurato ora che ho iniziato i primi abitudinari adempimenti; d’altra parte esercito onestamente una professione, non sono mica un truffatore!!
Ecco si rifanno strada questi pensieri inopportuni, non devo più leggere certi articoli!
Stizzito, in piedi, a fianco della gabbia delle direttissime, sento in background finalmente chiamare dal Giudice il signor H.
Tocca a me.
