LIAISONS #1 – Prefazione all’edizione italiana
Nel 2018 usciva in Francia e in America il primo numero della rivista internazionale Liaisons, con contributi che partivano e attraversavano sollevazioni e lotte sparse in angoli diversi del mondo. Il tema intorno a cui ruotavano era quello del popolo e del populismo. Due anni dopo sbarca qui da noi, edita da Agenzia X, la traduzione italiana di quel primo numero. Riceviamo e pubblichiamo volentieri la prefazione all’edizione italiana (qui invece potete trovare la traduzione di quella all’edizione francese), e speriamo che possa essere l’avvio di un confronto. In comune ci sono i punti di partenza: Interruzioni e continuità, frammenti e legami, un noi che appare e scompare a intermittenza. Il deserto intorno e la rivolta che freme.
Una rivista è uno spazio comune dove si riconoscono delle intelligenze unite nella differenza. La sua ricchezza è lo squilibrio delle esperienze e delle intelligenze soggettive.
Primo Moroni
Sono passati quasi due anni dall’uscita in inglese e in francese del primo numero di “Liaisons”. In Italia e in Messico, si sa, siamo degli inguaribili ritardatari. Il termine in francese significa “legami”: una parola che assume un senso tutto particolare in un paese come l’Italia composto da frammenti che paiono non essere più in grado di comunicare tra loro.
Per contribuire a colmare questa mancanza abbiamo realizzato la traduzione di questo progetto editoriale, una ricerca partigiana su una serie di ipotesi politiche locali che tracciano una prospettiva rivoluzionaria transnazionale. Stiamo assistendo a un’ondata mondiale di sollevamenti, iniziata con la rivolta francese dei gilet gialli, e poi moltiplicatasi in una serie di lotte in diversi continenti che manifestano un generale rifiuto del potere capitalistico. Le insurrezioni avvenute negli ultimi anni si somigliano pur senza avere parole d’ordine comuni. In queste pagine si sviluppa un primo tentativo di comporre dei frammenti: tra una parte di sé e una parte del mondo, tra una parte del mondo e un’altra ancora, cercando così di stabilire dei legami al di qua e al di là della dimensione individuale. Fare insomma comunicare immediatamente tra loro delle porzioni d’essere che improvvisamente si scoprono senza interruzione sentendosi in continuità: comunità. Anche se in Italia arriva in differita, l’ora della lettura di “Liaisons” pare essere comunque quella giusta.
La sfida è quella di dare spazio a un sentire comune che attraversa lotte tanto lontane e diverse tra di loro. In seguito alla riorganizzazione del sistema capitalista, che sempre di più fagocita le risorse delle classi più povere a livello mondiale, una serie di lotte più o meno locali e radicali si oppone a una avanzata che appariva inarrestabile.
Leggendo questi articoli si scopre un filo conduttore sotterraneo che lega queste e molte altre lotte fra loro, in quanto tutte intrinsecamente figlie del nostro tempo. La complessità dell’attacco richiede una molteplicità di risposte, ognuna con le sue peculiarità, con le sue storie e con i suoi fallimenti. Ma con la consapevolezza che tutto fa parte di un’esperienza comune, che prevede la messa in discussione di noi stessi a partire dalla situazione in cui ci troviamo.
Questa redazione disseminata in tre continenti diversi condivide, in questo numero, il tema del populismo. Le voci che provengono da Italia, Francia, Catalogna, Stati Uniti, Québec, Messico, Corea, Ucraina, Giappone e Libano si amalgamano nell’introduzione Sur une lame de fond, che sintetizza l’obiettivo della rivista: fornire uno spaccato della situazione mondiale a partire da differenti punti di vista e contribuire in tal modo alla messa a punto di un discorso trasversale a diversi continenti.
Un’altra ragione che ci ha spinto a tradurre “Liaisons” risiede nel valore di una scrittura che possa includere linguaggi e stili diversi senza temere di affermare l’interruzione e la rottura. Questo perché il tempo di pensare solo in vista dell’unità si è concluso ed è arrivato il momento di proporre ed esprimere – compito infinito – una parola veramente plurale. Tra varie possibilità, ci esprimeremo anche così:
Fuck nos rêves
Avevamo molti sogni quando eravamo bambini, che non è possibile realizzare in questo mondo.
Cogliamo il tentativo di vedere la realtà nel suo manifestarsi, nel suo apparire in molteplici forme e pratiche libere da inquadramenti prestabiliti, da processi già avviati, da finalità ridotte. Ogni atto di rivolta è un’origine che non smette di originarsi, che trova nel suo presentarsi la sua stessa ragione di essere. Nelle varie testimonianze che abbiamo raccolto in questo libro troviamo una pluralità di linguaggi, di identità, di soggettività che agiscono nei più disparati contesti. In questo modo, “Liaisons” ci porta delle posizioni, dei linguaggi identici, ma diversi, tesse analogie e somiglianze di parte, che definiscono un certo “noi”, che vuole vedere il giorno in una molteplicità di frammenti. Il “noi”, come un ritrovarsi sempre e di nuovo assieme nonostante tutto, combatte l’io e lo moltiplica, si mantiene aperto e da quest’apertura trae forza. Spingiamo per entrare nel presente di qualche luogo e qualche tempo e fuck ai nostri sogni, pensiamo di non essere niente, invece siamo tutto. Fuori dalle griglie, dalle maglie geometriche acquisiamo e perdiamo consapevolezza, tentiamo lucidamente delle ricognizioni degli stati delle cose possibili.
Sul vuoto spazio
In queste pagine si susseguono testimonianze della frammentazione, e frammenti che testimoniano a loro volta di un’unità, pur precaria, di fondo – stralci che esigono per essere compresi lo stesso silenzio da cui scaturiscono; messaggi da un passato non troppo remoto che oggi risplendono nella loro presenza almeno quanto nel 2018, anno in cui “Liaisons” viene pubblicato in Francia e in America, stupivano per lucidità e trama figuratrice. Perché in questo primo numero i populismi sono il prisma attraverso cui il tempo presente si riconfigura: questi testi ci chiedono insomma di condividere un’aria, di respirarne assieme la pienezza e di coglierne i vuoti sostanziali.
Il suggerimento che ci viene da “Liaisons” è quello di focalizzarci sulle contingenze, sull’adesso di alcune situazioni che, perdendo il rapporto con una presunta totalità, trovano nei frammenti stessi gli elementi per legare cento fili invisibili, liberando gesti che sono la vita stessa: per metterli in contatto, organizzarne l’incontro, aprire i cammini. Non si tratta più di concepire uno scacchiere internazionale come sommatoria di località divise, ma un insieme che esiste solo come composizione in divenire. La parola “popolo” diventa un campo di forze antitetiche che vede schierate da una parte una potenza destituente, dall’altra una tendenza restauratrice che riattiva la facoltà di includere-escludere dalla cittadinanza. Tra collettivi, comunità e piano globale si sono aperte delle brecce in cui il rinvio alla geopolitica fa le veci del realismo capitalista. In questo spazio, “Liaisons” vuole invece costruire dei ponti, colmare le distanze. Le forme si moltiplicano, il linguaggio segue.
Ci scusiamo per il disagio
Siete da poco più di un’ora stipati a bordo di uno dei tanti treni regionali della Penisola. A bordo, certo, non significa seduti. Questo lo sapete bene: alcuni di voi hanno guadagnato la poltrona blu, altri invece si assestano negli interstizi tra cabina e cabina – assieme alle donne con i passeggini, alla trap che esce dalle casse di qualche cellulare, ai maldestri tentativi di accedere a ciò che ancora ci si ostina a chiamare “ritirate”. Per una sorta di legge non scritta, i primi sono condannati a soffrire il freddo d’estate e, d’inverno, il caldo; per i secondi, è il contrario. La campagna ha da tempo smesso di scorrere oltre il finestrino. Il treno è inesorabilmente fermo, e mentre il controllore, facendo spallucce, passa in rassegna il colore dei volti per decidere se chiedere comunque il biglietto, dagli altoparlanti scassati arriva flebile e distorto un gracchiare di voce preregistrata. Eccola, l’annunciazione che ci meritiamo. Cosa dica, non importa: lo sanno tutti, cosa dice. La commedia umana si rinnova: conosciuta l’entità – non sempre la causa – del ritardo, il treno è ciò che di più simile ci sia alle antiche agorà, con i suoi dialoghi complicità lamentazioni, i suoi pornografi dell’efficienza ferroviaria e i suoi improvvisi antirazzismi volontaristici. Ma, come le agorà antiche, anche questa non è che un cumulo di macerie o un semplice ricordo. Parlano alcuni, ma nessuno si parla. Non potete fare a meno di pensare che l’umanità, se mai è esistita, è uno di quei muscoli sconosciuti che mettono presto ciccia intorno, e la cui esistenza si fa presto a dimenticare. Eppure un riflesso lo richiama: è il riflesso negli occhi degli altri, così diversi da voi, così vicini, così inesorabilmente intrecciati, fosse anche per mezz’ora soltanto, in questo comune banale semi-destino di un giorno qualunque. Un riflesso fiacco, appunto, indolenzito, ma per un attimo fulgido e quasi rivelatorio: una certa forma di presenza, un certo spessore delle cose che vi mostra, come dalla coda dell’occhio, tutta l’estraneità che vi accomuna, sia fuori sia dentro, e tutta la potenziale intimità che rende elettrica l’aria. È già tutto lì, a un passo: la sommossa nel vagone che si espande a tutto il treno, la presa della sala di comando, il sempre meno lento cigolio che morde la rotaia, l’euforia collettiva, l’apparente nonsense di tutta questa situazione, eppure eccovi lì, fuori controllo, nel mezzo del nulla, ora il treno è un treno pirata, un treno in corsa contro la storia, contro chi protesta che non è così che parte una rivolta, come se esistessero le istruzioni per l’uso. Un treno preso insulsamente ma che acquista senso e coscienza metro dopo metro, curva dopo curva. Un treno che si chiama insurrezione, la cui bandiera è un tag che sfreccia via con lui: “Ci scusiamo per il disagio”. Sovversione della forma, rinascita del mondo.

Cosa succede in Italia?
Stand by. Forse. Eppure abbiamo moltissimi centri sociali, diverse “aree”, alcuni leader, una marea di militanti. Ci sono“soggettività” e “linguaggi”, dicono. Ma dov’è il nostro pre- sente? Dove siamo? Cosa accade qui, nelle nostre città? E nel mondo? Vorremmo partire dal caso Francia, il luogo dove ci siamo incontrati.
Fly o La rue
Dal 2016 a oggi in Francia si continuano a dare cicli di lotta che esprimono momenti di conflitto che in Italia non si vedono da molti anni. Gli esempi strabordano, dalla Zad di Notre Dame des Landes alle altre Zad, fino al movimento del 2016 contro la loi travail, seguito dalla lotta contro la Loi Ore e la riforma Sncf, lotte dure sfociate nel momento insurrezionale dei gilet gialli.
Abbiamo visto un concatenarsi di eventi, di lotte, trasformarsi in una trama della nostra epoca. Abbiamo visto il movimento reale darsi luoghi, tempi e parole diverse, debordare continuamente il quadro da qualsivoglia sindacato o partitino. Abbiamo visto una capacità collettiva, espressione di un pensiero radicale, emergere contro il presente, contro la gestione delle vite e quindi contro le forme classiche della politica, anche di quella “rivoluzionaria”.
Eppure, spesso, abbiamo visto i leader della compagneria italiana mostrarsi scettici e diffidenti sul caso francese: lamentano le mancanze di strutture e di organizzazione, la discontinuità tra un momento di lotta e l’altro, l’assenza di vertenze specifiche. Se qualche risultato è stato ottenuto, il merito è troppo spesso attribuito ai sindacati o ad altri organismi. Anche noi ci sentiamo imprigionati, irretiti da queste catene del pensiero, che per troppo tempo ci hanno formato. Per questo:
dobbiamo ancora chiamarci riconoscerci continuamente
perché risorga l’ideae non muoia di nuovo all’alba…
ma siamo i minori, col verbo marginale e le parole ormai coriandoli
e non è festa, non è carnevalema lo sbriciolare dei giorni impazienti…
Immergendoci nei cortège de tête, ne siamo usciti diversi. Non si è trattato per noi soltanto di passare come osservatori esterni in una realtà diversa da quella in cui siamo cresciuti. Quei momenti ci hanno cambiato. Ci hanno fatto percepire la possibilità di una politica che produce incessantemente pratiche e spazi di discussione, dischiudendo immaginari collettivi in cui riecheggiano libri, proposte, luoghi, incontri.
In Italia percepiamo, anno dopo anno, la ripetizione forzata degli stessi schemi, che spesso diventano utili soltanto a non far morire le esperienze di movimento. Ci pare che persista una volontà egemonica e unificatrice, dove invece la storia di un territorio frammentato suggerirebbe di valorizzare l’incontro e scontro di queste differenze: le assemblee e le manifestazioni, sotto l’imperativo del “nazionale”, divengono talvolta sfilate, portate a casa con inerzia e con i numeri minimi, per uscirne con la sufficienza anche in questa stagione.
La nostra risposta a tutto questo? Insufficiente. Ma necessaria.
“Liaisons” è un esperimento editoriale che porta con sé domande e risposte da porre e porsi con umiltà, per fare tesoro di insegnamenti e storie provenienti da luoghi lontani; con pazienza, perché si tratta di leggere molto e bene e, se possibile, di farlo insieme; con determinazione, infine, per spazzare via la spessa coltre di nebbia che ci mantiene soli, isolati, talvolta depressi, e, in un certo senso, ciechi. Aiutandoci, legandoci, con persone che ancora non conosciamo ma che potrebbero diventare un giorno i nostri amici più stretti o i nostri alleati più preziosi. Partendo, come è logico che sia ogni volta che si intraprende un cammino nuovo, da noi, da quello che già c’è.