E INFINE IL MONDO SI FERMÒ

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Questo non è uno scritto per deboli di stomaco, o di mente leggera. Non è per gente in cerca di svago e di intrattenimento a buon mercato. Questo articolo è gratuito e si spera irregolare… sì, ora che siete belli comodi – un po’ eccitati, un po’ annoiati a casa vostra: scritto sicuramente male, ma scomodo. Serve una scrittura brutta, irregolare.


“Nei libri di storia scriveranno: … e il coronavirus avanzò a causa dell’ignoranza, della negligenza o strafottenza e della profondissima mancanza di rispetto che avevano gli uni verso gli altri”. (Genesi 23, 4-… anzi Facebook 8 marzo 2020)


Le Maldive hanno chiuso all’Italia. Ora son cazzi amari… I ricchi, poveretti, dove potranno rifugiarsi nell’ondata di peste del 21° secolo?! Dai non scherziamo! Sono già al sicuro a Curma, a Cortina D’Ampezzo…che dico! Sui loro yacht di lusso al riparo in mezzo al mare o in qualche isoletta esotica privata.

Purtroppo anche ‘sta volta quindi, qui alla fine del Mondo, non potremo vedere i loro cadaveri esposti ai bordi delle strade. Di chi sto parlando? Beh di quelli che possono starsene anche 6 mesi o forse addirittura anni senza lavorare, è evidente… parlo di quelli che oggi danno centinaia di milioni di euro ciascuno alla ricerca, perché si svegliano addirittura preoccupati!! Che generosi che sono i ricchi!

Ad ogni modo si emanano provvedimenti normativi senza precedenti, ogni 12 ore e ad ogni livello della gerarchia delle fonti. Tutti, ci rassicurano, commisurati alla situazione di emergenza. A quanto pare quindi ce la stiamo prendendo tutti nel culo… così come “eravamo colpevoli” nel 2008 per “aver vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, oggi siamo tutti egualmente se non malati, potenzialmente tali e, di qui, in ogni caso responsabili. Una situazione davvero kafkiana…

E via dunque con gli appelli a reti unificate alla responsabilità! Ora pure all’orgoglio nazionale! Insomma ci vogliono davvero convincere che se muore mia nonna o Cristiano Ronaldo è la stessa cosa. Vabbè beati gli ingenui e gli isterici, perché loro sarà il Regno dei Cieli.

Ma intanto qui sulla terra la vita sembra sempre più desertica. La fine è già qui, dicono. Almeno fino al 3 aprile. O almeno la fine del lavoro e della quotidianità. Poi, tornati alla normalità, chi vivrà vedrà. O almeno chi avrà ancora un lavoro, una casa, due spicci, dovrà inventarsi un modo di vivere.

E qui voglio stupirvi… anzi voglio provocarvi nel senso più autentico del termine. Voglio chiamarvi personalmente in causa, mettervi di fronte alla situazione scarna dei fatti.

Diciamola la verità suvvia: non siamo tutti uguali, mai lo siamo stati e continuando così mai lo saremo. Perché non lo siamo? Beh è evidente… nel lavoro, nel reddito, nello status sociale, ma non solo in economia, persino nel (mercato degli) affetti. Eppure, oggi più che mai, proprio nel momento decisivo dell’apocalisse sembrerebbe – a sentir molti – che ci riscopriamo tutti eguali, almeno di fronte al pericolo della morte.

Sì, la Grande Mietitrice, sempre lei. L’ossessione storica di questo Mondo – da sempre soprattutto per i ricchi – colei che si ostina a non essere sconfitta dai presunti miracolosi progressi di una Società che si reputa arrogantemente moderna ed evoluta.

Ma come siamo giunti a questo?

«Ragazzi sapete cosa sta succedendo, stanno chiudendo la Lombardia!»
(giornalista rete4, 7 marzo, ore 22.46)

«Bene, non ci interessa, perché stiamo qui a divertici!!»
(ragazze spagnole sui “Navigli”, Milano)

«È curioso che lo si stia vivendo con una certa leggerezza!»

Vi sottopongo una considerazione che ritengo, nonostante un’apparenza un po’ qualunquista, addirittura decisiva per ogni analisi: si vive tendenzialmente a caso.

Tutti, o quasi, anche i più insospettabili tra quelli che conosciamo. Chi più chi meno, anche i più convinti di seguire un regime etico o sociale pregno di significato.
Oggi come non mai era accaduto, tutte le rappresentazioni di sé, gran parte delle proprie narrazioni di senso, tutto ciò che ciascuno fondamentalmente assume come ruolo fondativo del proprio Io (o forse di un’autoconsolazione che gli consenta di addormentarsi a fine giornata) e quindi il lavoro, la routine, le relazioni, ebbene tutto ciò che di sociale, culturale, professato, di etico e/o di pubblicitario, di apparente e abitudinario, tutto ciò – a far data dalla notte dell’8 marzo 2020 – è imploso.
Finito in un apparente regime di sospensione, o forse è piuttosto in mutazione.

La possibilità (o meglio, la necessità) di andare a lavorare è infatti radicalmente compromessa e in moltissimi casi addirittura proibita: pezzo dopo pezzo la Macchina Sociale (almeno gran parte della costruzione sociale produttiva) è stata spenta, mandata in stadby. I primi considerati inutili in quanto fondamentalmente improduttivi (o produttivi troppo a “lungo termine”) sono stati quelli della Scuola e del mondo dell’Istruzione. Ma di lì a poco è seguito a ruota tutto il resto: basta con i personal trainer, con i life coach, basta con gli avvocati, con i commercianti, gli psicologi, basta con i pubblicitari, i creativi, basta con gli aperitivi, basta con Tinder.

Ebbene, è il Caos totale. Disastro, dite voi? Io invece voglio provocarvi.
Fino ad oggi infatti, sinceramente ho sempre provato un fastidio viscerale nel dovere assecondare l’ordinarietà della routine e i suoi rituali: il lavoro, gli aperitivi, gli ammiccamenti, le competizioni, i “Sistema-Paese”, gli ipocriti “come va?”, insomma la quotidiana e grottesca fiera della vanità, recitata senza tregua da persone apparentemente dabbene, impeccabili. Da una neo-plebe di mezzo impettita e ben vestita: in realtà nuda vita se non fosse per il bailamme di look, tendenze, selfie, curricula, portfolio e addobbi di ogni sorta. Un apparente Giardino delle Delizie.

Finalmente tutto ciò è in crisi, anzi è letteralmente in coma, sospeso tra la vita e la morte.
Finiti il lavoro, presto finiti i soldi, finito l’Io sociale. Riscopriamo l’esistenza autonoma del Tempo.
In realtà la nebbia narcotizzante di ciò che era attuale e che per ciò stesso ci rovinava la vita fino all’altro ieri non è definitivamente sfumata. Residua ancora insistentemente (in una sua espressione delle peggiori) quella mefistofelica dei media. Sì ora, alla fine del Mondo, si riservano tutti nei Social 24h su 24. Uno spettacolo tragicomico da emicrania! Ora che in troppi non possono più dimenarsi per le strade in cerca di un po’ di attenzione, di qualche soldo in più, o di qualche conoscenza utile in più. Adesso, infine, tutti in cerca di qualche like in più. Si possono infine concedere tutti e con tutte le proprie energie nell’abitare quella che da alcuni era stata propiziata addirittura come Terra Promessa: la Rete. Non c’è nemmeno da commentare come questo manicomio di solitudini somigli piuttosto a una distopia realizzata.

In ogni caso tutto quanto sopra descritto è saltato. Puff. Non esiste più niente del planetario Giardino delle Delizie. Tutto cenere e polvere.
Roba da impazzire quindi! La neo-plebe invoca con le lacrime agli occhi, anzi supplica: “Speriamo si torni alla normalità il prima possibile!!”
Proprio quella normalità che invece ritenevo tossica e insopportabile; la monotonia di una vita passata a fare la stessa cosa ogni cazzo di giorno. E ogni cazzo di giorno, a turno, con le stesse maledette persone… e dopo una breve scarica adrenalinica di 48 ore, di nuovo daccapo.

Ora che non ci è più consentito di praticare tale routine, possiamo finalmente confessarcelo, con sobrietà: non era nient’altro che una psicosi individuo-maniacale di massa. Una monomaniachìa, una mania di confliggere in competizione gli uni con gli altri, insomma un giochino degno di cavie da laboratorio. Insomma non esisteva alcuna “comunità”.

Valutiamo però questa ipotesi: che a un certo punto della storia, con una grande amputazione delle infinite sorti possibili dell’umanità, si è stabilito che dobbiamo tutti giocare a un grande gioco. Il gioco della Civiltà. Certo le regole di questo gioco si sono stratificate ed elaborate nel tempo, attraverso i secoli… Eppure, finezze a parte: dobbiamo svegliarci la mattina, chiamarci con un dato nome e iniziare a impersonare la propria parte della civiltà, cioè una parte del gioco. Ma quella parte ti è stata data (“che hai scelto!” si racconta il povero neo-plebeo…) è quella anche che ti dà gioia (mi fai tenerezza davvero…)! Purtroppo per i moltissimi che ci credevano davvero o che ci vogliono ancora credere a questo gioco, oggi è divenuto all’improvviso tutto privo di realtà.

Oggi finalmente, reclusi ciascuno nel proprio Castello (casa propria, l’unico porto sicuro!), anche laddove al riparo da virus e pandemie, siete in ogni caso turbati nei meandri della vostra quotidianità e quindi del vostro Io. In particolare quelli di voi che si ostentavano così sicuri di sé fino all’altro ieri…

La mia divertita solidarietà va allora a tutti coloro che “saggiamente” si erano preparati per un’intera vita a questa evenienza! Ai timidi, ai fan di the walking dead,ai misantropi, ai solitari, agli emarginati, ai nerd, ai sinceri stupidi che davvero non ci avevano mai capito un cazzo: oggi è finalmente giunto il vostro Tempo!!

Per tutti gli altri invece è arrivata la crisi. Non quella economica che ahimè colpirà davvero tutti (…magari tutti! Colpirà noi gente di mezzo, la neo-plebe e tutte le costellazioni sociali sottoposte nella scala alimentare sociale). Si tratta piuttosto di una crisi epocale di orizzonte, di senso. E ora che vi vedo già in crisi, voi della neo-plebe dalle certezze lavorative e relazionali, mi fate un po’ tenerezza e un po’ il solito ribrezzo. Oggi finalmente cominciate, benché forse non ve ne accorgiate ancora, una nuova fase dell’esistenza e forse della Storia.

Ben riflettendoci tuttavia, è proprio a voi della neo-plebe che si presenta un’epocale imperdibile opportunità! Capire che l’amata quotidianità altro non era che un artifizio diabolico pervasivo e contagioso, capace niente meno che di predeterminare categorie di giudizio, atteggiamenti, spazio, tempo e quindi scelte. Capire che nient’altro era se non un grande polipo mentale, forse addirittura un tumore innestatovi fin da piccoli, ancora in fasce. A cominciare dalla grammatica fondamentale dell’Io e del Tu, dalle prime storie raccontate e dalla divisione del mio e del tuo.

Eccolo allora il Virus più nocivo mai esistito e tuttora in circolazione, la vera pandemia che fino all’altro ieri ci obbligava in giacca e cravatta a disquisire, sobriamente in educati salotti politici, sulla devastazione della terra e sull’estinzione delle specie. Un Mondo che abbiamo dovuto ingerire a forza fin da bambini, come una medicina, imparando a pensare che fosse inevitabile, perché “è normale che sia così”, perché “non c’è alternativa”.

Insomma possiamo confessarcelo, ora che stiamo belli tranquilli casa nostra: abitavamo già l’Inferno.
E oggi, a questo Inferno, si è sovrascritta anche la pandemia sanitaria. Il grande mitologema moderno, la Malattia.
Oggi pertanto, a partire da una rinnovata conoscenza del Tempo, prendiamo atto della crisi autogena della Civiltà, cioè di questo Mondo. E le sue contraddizioni apparentemente dormienti esplodono in isteria collettiva, costringendo tutti a farci i conti.

Noi vinciamo questa guerra se cambiamo il nostro modo di vivere” (Borrelli, 7 marzo 2020).

Sante parole! Mai prima d’ora era parso così opportuno accogliere seriamente e integralmente un invito giuntoci dalle alte bocche di personalità pubbliche. Certo qualcuno potrebbe dire: “ve l’avevo detto io!”, considerato che effettivamente qualcuno l’aveva già da sempre detto e in tempi non sospetti, quando ancora in troppi risultavano ammaliati dal grande Giardino delle Delizie che è (era?) questo Mondo.

Oggi si pone dunque la necessità di abbandonare le vesti putrefatte del Mondo antico. E badate bene che la sfida non è farlo ad interim per due settimane, fino al 3 aprile, per un mese o fino a quando il governo lo decreta. È giunto davvero il momento di prendere in parola questa saggia esortazione, senza guardare ad alcuna data di scadenza: abbracciamo l’abisso dell’imprevisto, abbandoniamoci all’ignoto. Apriamoci all’aperto, al vento sferzante di ciò che ha da venire. E facciamolo non solo con il giusto spirito di avventura; facciamolo soprattutto con diligenza: con metodi, termini e atti che vanno ricercati e saggiati.

Ma facciamolo soprattutto col quell’unico sorriso che da sempre solo gli esiliati di Curma, i profughi da yacht e gli abitanti di bunker di isolette caraibiche private hanno saputo riconoscere e temere: il sorriso di chi ha in mente un piano, un progetto, un sogno: un altro Mondo DEVE essere possibile!

Diciamolo una volta per tutte a un’umanità mutilata e ferita: se una volta forse ci fu un “noi”, questo Mondo l’aveva già ucciso. E non con un virus.
Diciamolo dunque che il virus non si è diffuso a causa NOSTRA e nemmeno a causa, di meridionali o di immigrati o di cinesi. Nemmeno di un imprenditore 38enne del lodigiano (degno esponente della neo-plebe di cui sopra). La ricerca dell’untore è da sempre solo un fastidioso starnazzare da cretini.

Il virus si è diffuso perché così è ovvio che accada. Ciò che è deleterio per la salute non è di per sé il virus, ma questo Mondo in relazione alla malattia che ne consegue. E veicolo di contagio sono da sempre i valori fondanti di questo Mondo, valori in superficie aderenti a molti esponenti della neo-plebe (tra cui spiccano quelli degli spritz e della “Milano non si ferma”, ora già in crisi di astinenza): iperproduttività, ipersfruttamento, ipervalutazione, iperconcetrazione di uomini, animali, commercio, risorse; e tutto deve freneticamente procedere e insistere senza interruzioni o imprevisti. Fino a questi primi giorni di marzo.

La crisi – non è mai abbastanza ripetuto – è lo spazio-tempo in cui il vecchio non riesce a morire e il nuovo non nasce. Se non riusciamo più a sognare un altro modo di vivere – nemmeno di notte, al riparo dalle bassezze e nefandezze del quotidiano – allora davvero l’unico orizzonte utile è quello di imparare urgentemente ad abitare la catastrofe.

Ma prima di decretare questo stato di impossibilità, si impone più forte che mai l’urgenza di sognare un modo di vivere e di vivere bene; porre la questione necessaria, non rimandabile, della scelta di cosa, come e quando produrre. E non si tratta solo di merci, ma addirittura di scegliere come costituire il proprio orizzonte di senso nelle relazioni con gli esseri viventi e le cose, a partire innanzitutto dal tempo.

Se non lo facciamo, allora saremo dannati. Continueremo a vagare per la terra illudendoci, che un cynar o un viaggetto, o un like, o un premio, o un aumento, o un appuntamento, o un appartamento ci rendano persone migliori, magari addirittura uniche e amate per questo. Tutte bieche illusioni.

Di individualismo ci siamo ammalati e di individualismo moriremo.

Così continuando, ho davvero la sensazione che ci ammazziamo.

Mentre infatti questo osceno, planetario, gioco di ruolo continua inesorabilmente ad andare in scena, narcotizzando le anime di tutti i partecipanti, in qualche frattura geografica della spazio-tempo che chiamiamo Terra, ogni giorno, una piccola ma rilevante fetta di umanità o di esistenza è sacrificata su uno dei tanti altarini delle numerose ragioni di Stato.

Allora da oggi, a partire dalla neo-scoperta fragilità di questo Mondo, si deve prendere coraggio. Ognuno lo trovi dove gli occorre trovarlo e guardiamo nella profondità dell’oscuro abisso che già ormai abitiamo per porci l’unica sfida che abbia da rivelare un orizzonte di senso. A partire da una fondamentale presa di coscienza: prendere atto che le cose che fino ad oggi pensavamo e facevamo con apparente impegno e trasporto emotivo sono prive di senso, irrilevanti se non addirittura dannose.

Esiste quindi un’urgenza: “vivere in un modo diverso”. Ciò non significa – è bene precisarlo – trovare una socialità diversa. Bensì proprio una società diversa.

Riscopriamo quindi anche oggi che è già, da sempre, tempo di rivoluzione.

Un virus devasta il vecchio mondo.  Ai coraggiosi (e non [solo] alla scienza) il destino di trovare la cura.