WALDORF
Frammenti di un discorso: ci sono alcuni filippini, un cane, un tassista, i pokemon e la dipendenza dalla nicotina. Diario minimo della quarantena, da leggere preferibilmente mentre si è in coda al supermercato.
A questo punto, l’OMS ha dichiarato la pandemia e mia madre ha lavato tre volte il pavimento con la candeggia. Gli industriali a cadenza oraria mandano proclami a proposito della necessità assoluta di “continuare a produrre”. Li immagino in un castello scozzese, mentre bevono sangue umano e brindano alle magnifiche sorti e progressive dell’umanità. Gli antropologi, rinchiusi in un’auto-quarantena etnografica al terzo piano dell’U6 in Bicocca, tengono diari di campo e annotano, annotano e nessuno, compresi loro, ci capisce un cazzo.
Milano, cuore dell’impero, si è rarefatta, in una sorta di Agosto anticipato, senza la scocciatura dell’asfalto bollente e delle zanzare. Sans souci si svolgono i fenomeni naturali, quale la rosissima fioritura dei pruni e dei ciliegi e quella, più gialla, delle mimose Virginia, che ogni tanto si fanno largo tra le siepi dei giardini condominiali. Olimpici nella loro compostezza, i piccioni e gli animali sinantropici tutti (nutrie, Giovani Democratici, qualche gabbiano senza senso dell’orientamento, merli, ratti) prosperano dai cornicioni alle fogne, indifferenti.
Filippini e fuorisede ciccioni conducono sprezzanti monopattini elettrici, mantengono velocità supersoniche e tallonano i ciclisti, tipicamente cinesi, fedeli al loro mezzo d’elezione, la bicicletta, e placidi, con il piglio di chi ha alle spalle la Repubblica Popolare e anticorpi più efficienti degli occidentali, quei rammolliti.
Il ponte della Ghisolfa, simulacro della contemporaneità frenetica e idrocarburica, sintetizza tutte le contraddizioni della pandemia: aiuole in fiore, inaspettate; corsie semi-deserte; verso Est, appena prima del Sol dell’Avvenire, i treni addormentati alla stazione Garibaldi, fermi, immobili, profondissima quiete; ad Ovest il Monte Rosa, spocchioso, che sbuca dallo scheletro del Gazometro.

E poi il razzismo del pelato dell’autorimessa di Piazzale Lugano, che al posto suo fa lavorare un tipo piuttosto dimesso, asiatico del sud, con la mascherina. Il dramma e l’incertezza dei tabagisti: superare la scaramanzia dell’acquisto di un pacchetto alla volta? [“Potrebbe sempre essere l’ultimo, magari decido di smettere”] Quindi premunirsi, fare una scelta coraggiosa: le ottenebratissime tre stecche di Marlboro Rosse o Gauloises Blu e vaffanculo, se Camilleri è campato 90 anni, almeno ai 65 ci arrivo.
Oppure gli hipster e i Giovani di Sinistra, che si manifestano solo attraverso scoregge sui social network o un generico rumore: camminano impazienti al piano di sopra, bramosi di vino rosso, cocaina e birra artigianale, vestiti vintage e sailcazzocosa.
Poi un vecchio con le scarpe gialle porta fuori il suo levriero afgano con la mascherina. Ha due denti e un sorriso esagerato in faccia: quando ci incrociamo, con gioia, fa un rutto; lo guardo – salute – grazie e arrivederci.
Il tassista fuori dall’ospedale di Garbagnate, senza apporre alcuna preoccupazione od questione metodologica, riporta a casa mia nonna andata a farsi il tampone e la rassicura con un “io a queste cose non ci credo”, e parte sgommando, con Vasco Rossi in rotazione: Vado al Massimo. Radio Lifegate trasmette i Verve mentre porto a casa dell’altra nonna la spesa. Lei, che ha novant’anni e due linee di febbre, se ne fotte e frigge i primi fiori di zucca dell’anno.
A seguire l’ampio spettro degli approcci al contagio: dall’iper-razionalismo scettico e scientifico dei venti-trentenni, invincibili e sicuri del loro sistema immunitario alla paranoia esplicita (e non) di chi di anni ne ha quasi il doppio e ha paura; i vecchi veri invece la prendono con filosofia e leggono Epicuro o guardano Canale 5 e si agitano o si tranquillizzano a seconda dell’Anchorman. La fede cieca e positivista nei confronti dell’Amuchina ci unisce, intergenerazionale.
Infine molti sono in fila fuori dalla Stanza dello Spirito e del Tempo, come fosse un’Esselunga qualsiasi; rigorosamente ad un metro di distanza, aspettano il loro turno per addestrarsi e diventare Supersayan e/o evolversi in Blastoise: loro sanno come si fa: noi, come sempre, no.