CORONAVIRUS: UNA CIVILTA’ INTERA IN DISCUSSIONE
Pubblichiamo la traduzione di questo testo, apparso qualche giorno fa sul sito francese Rouen dans la rue, che ci sembra riassumere bene tutti i nodi che la pandemia ha aperto rispetto al presente e soprattutto al futuro. Se è vero quello che spesso ci ripetono, cioè che dopo tutto questo nulla tornerà come prima, allora ogni spunto è utile per cominciare a pensare alle prossime forme di normalità contro cui ci troveremo a lottare
VIRUS
Il coronavirus ha un tasso di letalità trenta volte maggiore dell’influenza “normale”, e potrebbe aggravarsi nelle settimane a venire. Il virus è molto contagioso, molto resistente sulle superfici, non esiste né vaccino né rimedio, si temono le sue capacità di mutazione. La sua penetrazione e la sua velocità di propagazione sono notevoli. E’ poco probabile che ci siano zone, su scala planetaria, che possano sfuggire all’infezione. Se il suo tasso di mortalità dovesse stabilizzarsi intorno al 1% e se infettasse quattro miliardi di persone questo darebbe 40 milioni di morti. Una piccola proporzione di un grande numero può costituire un numero notevole. Questo è il contesto, le misure da prendere sono la condizione per la vita stessa.

CAPITALISMO E PROPAGAZIONE
Avvengono inevitabilmente delle catastrofi che, malgrado il discorso dominante, non hanno nulla di “naturale”. Accadono a intervalli regolari ma sempre più ridotti. Gli incendi di impianti chimici, la desertificazione, l’inquinamento delle falde acquifere, le inondazioni e le epidemie sono il frutto della stessa logica. L’epidemia di fronte alla quale siamo, al di là delle sue specificità, non ha una natura diversa da questa serie di catastrofi prodotte dal regime capitalista.
Le ultime foreste primarie e i terreni agricoli possedute dai piccoli sfruttatori del mondo intero sono stati inghiottiti dalle logiche economiche. L’agro-business ha favorito le monoculture di animali domestici. Queste devastazioni favoriscono lo sviluppo di malattie rimuovendo le barriere immunitarie che la biodiversità e la sua eterogeneità generano naturalmente. Numerosi nuovi agenti patogeni, fino adesso tenuti sotto controllo da ecologie della foresta in costante evoluzione, sono ormai liberi, e minacciano il mondo intero. Diversi studi indicano che il passaggio di agenti patogeni virulenti dagli animali agli umani sarà sempre più probabile nel futuro, e certamente sempre più mortali.
Con ogni evidenza, la concentrazione di popolazione nell’ambiente urbano e l’iper-connessione della rete di trasporti sono stati fattori aggravanti nella propagazione dell’epidemia. “Siamo passati dai pipistrelli frugivori del Congo alla morte di gente abbronzata a Miami in poche settimane” (https://acta.zone/agrobusiness-epidemie-dou-vient-le-coronavirus-entretien-avec-rob-wallace/). Ogni individuo che compone questa civiltà è potenzialmente in contatto fisico diretto o tramite merci interposte, nello spazio di qualche ora.

MISURE DI ECCEZIONE
La logica dell’urgenza e dello stato di eccezione risponde a bisogni innegabili di controllo dell’infezione. E’ questa la differenza profonda tra la situazione attuale e le altre situazioni d’urgenza sociale com’è stata per esempio la minaccia terrorista. Ma è importante comprendere che se queste misure vengono imposte dall’alto, è in un contesto di atomizzazione dei corpi nell’ambito capitalista. Storicamente, quando la popolazione è stata concentrata nei centri urbani per delle necessità economiche, con lo stesso gesto la vita e la città sono state divise in funzione, le comunità sono esplose e le solidarietà spezzate. Una società fondata sullo sfruttamento e la separazione non può aspettarsi coesione interiore. Lascia al contrario dispiegarsi sotto i nostri occhi i peggiori eccessi di individualismo come si è potuto vedere le ultime settimane. Così, la somma di individui che siamo non ha la capacità collettiva di prendere decisione su scala adeguata, come quella del confinamento in una città intera o in un paese. Qui interviene lo spunto interessante della biopolitica popolare, o delle pratiche di auto-organizzazione riguardo alla salute, spiegate qui: (https://acta.zone/panagiotis-sotiris-coronavirus-contre-agamben-pour-une-biopolitique-populaire/)
Pertanto non si tratta in alcun caso di rimettersi alla ragion di Stato con le sue logiche d’urgenza, utile per disciplinare la popolazione, frenare in anticipo l’emergenza del malcontento e dei conflitti. Responsabili e incapaci, i governanti pretendono di salvarci. Non c’è niente di meglio per autolegittimarsi e apparire indispensabili, Ma la storia recente dimostra che gli stati d’eccezione sono esperienze importanti a partire dalle quali le autorità sperimentano dei dispositivi, normalizzano e banalizzano pratiche autoritarie, in breve, è il momento nel quale accelerano e rinforzano delle tecniche di potere. La sequenza attuale è una tappa supplementare nel processo di acclimatamento della popolazione al controllo totale e alla sorveglianza generalizzata.
La minaccia virale ha il vantaggio di riguardare tutta la popolazione, e ogni individuo se ne fa portavoce. Essa di conseguenza si inserisce semplicemente in un contesto di predisposizione allo stato di panico collettivo: ieri la minaccia terrorista (ancora in essere), oggi il catastrofismo. Se il fatto di sapere che tutto può crollare apre prospettive incredibili sul piano rivoluzionario, questo produce un panico globale, una contrazione generale. La popolazione, immersa in un cittadinismo radicale, è pronta ad accettare qualsiasi politica, anche fascista, che pretenda di salvarla.
Si può immaginare che se la pandemia si prolunghi senza vaccino, il “ritorno alla normalità” si accompagnerà allo sviluppo di mezzi sofisticati per identificare chi è a rischio e chi no, e discriminare legalmente chi lo è. Si utilizzeranno i dati di controllo dei cellulari, con i quali i servizi segreti tracciano i “terroristi”, per ritrovare le persone che sono state in contatto con dei portatori conosciuti di virus.
Ci adatteremo ugualmente a queste misure, proprio come ci siamo adattati ai controlli di sicurezza degli aeroporti di volta in volta più severi in seguito agli attentati terroristi. La sorveglianza intrusiva sarà considerata come legittima per assicurare la libertà fondamentale di stare con altre persone. Come d’abitudine, nel frattempo, il costo reale sarà supportato dai più poveri e i più deboli, che rappresentano una parte sempre maggiore della popolazione.
Naturalmente nessuno sa esattamente come sarà questo nuovo futuro. Ma si può immaginare un mondo in cui, per salire su un volo, forse si dovrà essere iscritti a un servizio che tracci i vostri spostamenti attraverso il vostro telefono. La compagnia aerea non sarebbe in grado di vedere dove siete andati, ma riceverebbe un avviso se foste stati vicini a persone infette o a punti caldi della malattia. Ci sarebbero requisiti simili all’ingresso di grandi spazi, edifici governativi o snodi di trasporto pubblico. Scanner della temperatura installati ovunque, e il vostro posto di lavoro potrebbe richiedere l’uso di un monitor che misuri la vostra temperatura o altri segni vitali. Dove i locali notturni chiedono una prova dell’età, in futuro potrebbero chiedere una prova di immunità (https://www.milanofinanza.it/news/non-torneremo-piu-alla-normalita-ecco-come-sara-la-vita-dopo-la-pandemia-202003181729195935)
Lo stato di eccezione come norma, la paura generalizzata, l’igiensimo esacerbato, il telelavoro e la vita in quarantena: è importante nominare questi cambiamenti che tendono ad essere interiorizzati perché gli scenari distopici di oggi non diventino la realtà di domani.

SALVARE L’ECONOMIA O LA POPOLAZIONE?
Salvare l’economie e mantenere la popolazione sotto controllo, in buona salute e a maggior ragione, in vita, sono le condizioni per governare in ambito capitalista. Nell’ambito della concorrenza economica mondiale e senza pietà, questi due aspetti entrano in concorrenza: si favoriscono i settori economici che danno più profitto, a discapito dei servizi pubblici. E’ ciò che subisce il settore della sanità da diversi anni ovunque nel mondo. Ed è una delle contraddizioni messe a nudo dal fenomeno coronavirus.
“Dobbiamo realizzare che non è possibile smantellare il sistema sanitario di un paese pezzo per pezzo, per ritrovarsi a morire a grappoli con medici e infermieri che si massacrano mettendo in pericolo la loro vita per cercare di salvare la nostra”
Il profitto prima delle nostre vite. Quello che ieri era uno slogan oggi ci colpisce in pieno.
In Francia, il sistema sanitario è soffocato da anni. 100 000 letti eliminati in 20 anni. Una tendenza rinforzata dall’arrivo al potere di Macron. Proprio prima della crisi del coronavirus, gli ospedali erano al limite dell’esplosione di fronte al disprezzo governativo. E con un prodigioso ribaltamento della situazione, grazie all’uso di una retorica bellica e dietro lo spettro dell’unità nazionale, medici e infermieri diventano gli eroi della nazione. Si domanda loro di raddoppiare le ore, ai praticanti si chiede di mettersi gratuitamente al lavoro, il tutto in spazi ospedalieri a rischio, per nulla protetti, entrando in contatto con malati e colleghi nelle lunghe giornate.
Il discorso statale fa costantemente riferimento all’unità nazionale, alla Francia che, insieme, supererà questo momento. Niente di più falso. E’ vero che il virus può infettarci tutti ma le conseguenze, tanto sanitarie che economiche, sono e saranno vissute in diversi modi: quelli che hanno accumulato riserve nel corso di questi anni potranno permettersi di andarsene, quelli che non hanno vissuto che del loro salario saranno costretti al sacrificio. La quarantena verrà vissuta in modi più o meno dorati. La perdita di numerosi posti in terapia intensiva non sarà che un problema secondario per quelli che sono già ricorsi alle cliniche private. E che ne sarà dei lavoratori poveri, delle famiglie numerose, degli immigrati, dei senzatetto?
CRISI
Sul piano economico e a breve termine, tutti i settori aperti al pubblico crolleranno: ristoranti, bar, discoteche, hotel, teatri, cinema, centri commerciali, musicisti ed altri artisti, siti sportivi, luoghi di congressi, compagnie di crociera, compagnie aeree, trasporti pubblici, scuole private. Le piccole e medie imprese di diversi settori saranno a loro volta violentemente colpite.
Su una scala più globale, il “crac” attuale della borsa e le misure drastiche adottate dai governi avranno una ripercussione. Le misure economiche mondiali per invertire la curva, anche se sono insufficienti, saranno con ogni probabilità accolte calorosamente dagli Stati. Ma questi aiuti costeranno caro, difficile da questo punto di vista immaginare degli scenari precisi: Se l’Europa vuole rilanciare tutto, sarà costretta a politiche di austerità, l’Italia diventerà la Grecia del 2008; qualcosa che potrebbe fare vacillare definitivamente l’Europa o rimodellare profondamente i suoi contorni ed equilibri.
Ma la crisi è anche, per il capitale, il momento vivificante di distruzione creatrice, creatrice di opportunità, di innovazioni, di imprenditori tra i quali solo i migliori, i più motivati, i più competitivi sopravvivono. Così si amplierà il divario già profondo che separa i “capi-cordata” da “quelli in basso”. Verranno rifiutati tecnologie desuete e vecchi modi di produzione a vantaggio dei nuovi che saranno l’unico modo di elevare il livello di vita di qualcuno. Dunque assisteremo a un’esplosione di nuovo servizi di ciò che possiamo già chiamare l’economia senza contatto, che sarà esplosa durante il periodo di confinamento. Possiamo consolarci con il fatto che le nuove abitudini diminuiranno l’impatto ambientale dei viaggi, favoriranno il ritorno a catene di produzione locale, con un maggiore utilizzo delle camminate e delle bici. Ma il regime di vita solitaria non può durare. E lo shock provocato, con una parte crescente di persone “che non sono nulla”, è difficile da prevedere e sarà impossibile da gestire.
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C’è qualcosa di fondamentalmente inevitabile nell’accelerazione di eventi catastrofici che questa civiltà causa e continuerà a causare. Il coronavirus è uno tra questi. Si possono sempre fare previsioni o pronostici, ma ci coglieranno sempre alla sprovvista. E i migliori sistemi sanitari non ci potranno fare nulla.
Ma come spesso accade, ogni crisi genera processi di accelerazione, nelle condizioni materiali di vita così come nella percezione che abbiamo delle persone che ci stanno intorno, e questo ci ricorda che non tutto è perduto. Che cosa fare di fronte alla situazione tanto storica quanto soffocante che stiamo vivento? Sviluppare i gesti di solidarietà che la situazione impone, affinare le armi della critica e prepararsi alla riscossa.