LA GIOVINEZZA POLITICA DI PAUL THOMAS ANDERSON
A proposito di Licorice Pizza, di un mondo estraneo e in crisi, e della luce magica della giovinezza.
Forse giovinezza è solo questo
Perenne amare i sensi e mai pentirsi
Sandro Penna
C’è una scena di Licorice Pizza in cui Gary (Cooper Hoffman) telefona ad Alana (Alana Haim) e, dopo essersi qualificato alla madre di lei come un altro, rimane in silenzio per un minuto. Nell’attesa che uno dei due parli si consuma una delle scene più intense, per quanto priva di dialogo, dell’intero film di Paul Thomas Anderson. In questa frazione di tempo, rarefatta ed eterea, in cui i due giovani semplicemente attendono, è riscontrabile l’intera marca costituiva del film: una storia d’amore banale, archetipica quasi, fra una ragazza di venticinque anni e uno di quindici, che per le due ore della pellicola si rincorrono, si cercano, talora si trovano e si lasciano. Ambientato nella San Francisco Valley del 1973, anno di esplosione del flipper – come lo stesso film ci ricorda – proprio come un flipper è un film in continuo movimento, centripeto e centrifugo, non solo nei movimenti di camera, leggeri e obliqui, ariosi, ma anche e soprattutto nell’amore dei due giovani, che come due palline schizzano e rimbalzano da una parte all’altra, nel continuo conflitto che si crea con il diventare adulti. Non è un caso che Anderson abbia deciso di ambientare il suo ultimo film nei primi anni Settanta, quand’era bambino: ricorre la stessa scelta anche nell’ultimo lavoro di Paolo Sorrentino, È stata la mano di Dio, o in Belfast di Kenneth Bragan, entrambi apparsi nell’ultimo anno. Tuttavia, nel mosaico luminoso di Anderson, la giovinezza assume una connotazione diversa: la sua, è prima di tutto una giovinezza politica. Mentre i due procedono, innamorati e noncuranti del mondo, questo stesso mondo scorre sotto i loro occhi imprevedibile e indecifrabile. Non appare casuale la scelta di Paul Thomas Anderson di ambientare la storia nei primi anni Settanta, in particolare nel ’73, anno della crisi petrolifera conseguente alla guerra del Kippur, in cui l’automobile, simbolo per eccellenza dell’american system, si ferma, con più di un’accezione simbolica. Lo storico britannico Eric J. Hobsbawm, nel suo Il secolo breve, attribuisce al 1973 il ruolo di anno spartiacque fra la cosiddetta “età dell’oro”, successiva alle due guerre mondiali e caratterizzata da una vertiginosa crescita economica nei paesi occidentali, e quella che definisce “terza fase” del secolo e segnata dalla crisi. «Il mondo», dice, «dopo il ’73 ha perso i suoi punti di riferimento ed è scivolato nell’instabilità della crisi». Tale avvenimento storico irrompe a metà del film e ne stravolge l’atmosfera. Se nella prima parte del film gli anni Settanta costituivano un aspetto esteticamente funzionale alla narrazione, nella seconda assumono una connotazione ben diversa, politica appunto: il petrolio pare esaurito, e con esso il mondo. I due ragazzi tuttavia reagiscono a questo avvenimento con la stessa leggerezza con cui si sono frapposti precedentemente ai tanti fallimenti, lavorativi ed esistenziali, della loro pur breve vita: dalla vendita di materassi ad acqua, alle carriere di attori, attraverso episodi bizzarri, il lavoro di campagna elettorale per le elezioni comunali, la crisi del petrolio, con le auto in coda, a secco, le liti, i riavvicinamenti, i genitori completamente assenti, la fame di vita, i percorsi a ritroso, tutto costantemente di corsa. Il pericolo in agguato, la catastrofe, il cataclisma, è dietro l’angolo, eppure è come se li toccasse solo tangenzialmente. Sembra quindi essere questa la lente attraverso cui interpretare l’intero film, quella della giovinezza, ostinata e intensa, brutale, unica via per scampare a un mondo orribile, fatto di finitudini e assenze. Licorice Pizza è un film in cui gli adulti esercitano un ruolo secondario, e sembrano ben più infantili dei giovani: spaesati, ridicoli, incapaci di gestire le proprie emozioni, da Sean Penn a Bradley Cooper fino a Tom Waits, ognuno di essi si mostra fragile nelle proprie idiosincrasie e sprovvisto della lucentezza necessaria a procedere oltre. Statici, per usare un’altra espressione, in un film dominato dal ritmo e dalla velocità. Richiamando – e forse scomodando – le teorie di Paul Virilio, la velocità restringe lo spazio e illude di estendere il tempo. È per questo che Gary e Alana fondamentalmente si corrono incontro. Proprio perché la loro giovinezza, come ogni giovinezza, è una rincorsa e un abbandono. Tuttavia, sarebbe errato considerare Licorice Pizza un film sugli anni Settanta; qui dimora la scelta fondativa di Anderson: il teatro della narrazione è un mondo precario, in crisi, proprio come il nostro. Nel suo magnifico Cronorifugio, edito dai tipi di Voland nel 2021, Georgi Gospodinov rievoca un pomeriggio specifico della sua giovinezza, trascorso a passeggiare per New York. Di quel giorno, lo scrittore bulgaro ricorda in particolare una luce che fende l’aria e illumina la città di un colore nuovo, soffuso. «Il passato», scrive, «si deposita nei pomeriggi. […] La vera vita del mondo e dell’uomo può essere descritta attraverso alcuni pomeriggi, attraverso la luce di alcuni pomeriggi, che sono i pomeriggi del mondo.» Anche in Licorice Pizza la luce sembra essere una luce particolare, quella mitica dell’età giovane, ma che non si tinge di alcun nostalgismo. Proprio perché, come diceva Sallustio, certe cose non sono mai, eppure sono sempre.